“La città plurale. Molte religioni nella città“
(Vicenza, 25 maggio 2019)
All’interno dei numerosi eventi organizzati in cinque città venete in occasione del XV Festival Biblico sul tema «Un modo nuovo per incontrare la Bibbia», il 25 maggio 2019 presso il Museo civico di palazzo Chiericati di Vicenza, ha avuto luogo la conferenza intitolata «La città plurale. Molte religioni nella città».
A questo evento, organizzato dall’ISE, hanno partecipato i proff. Italo De Sandre, Massimo Raveri, Simone Morandini, moderati dal prof. p. Stefano Cavalli. La riflessione sulle nuove prospettive aperte nelle nostre città dal pluralismo religioso determinato dalla globalizzazione, è stata introdotta dal prof. mons. Renato Tommasi, direttore del Festival, il quale, dopo aver ringraziato l’ISE per il suo impegno in campo ecumenico e interreligioso, ha ricordato la teologia del popolo elaborata in Argentina per una convivenza tra identità diverse in uno stesso territorio, un’indicazione interessante e generativa per ripensare anche la nostra identità di popolo in questo tempo. Il prof. Cavalli ha quindi richiamato la Sacra Scrittura che ci presenta lo “straniero” in mezzo al popolo non come ostacolo, nemico da cui difendersi, ma come ricchezza, qualcosa che si aggiunge a ciò che si è.
Il primo relatore, il sociologo De Sandre, si è soffermato a riflettere su come la convivenza di più religioni incide sulla vita quotidiana. Per l’Italia si tratta di un fenomeno abbastanza recente, portato dall’immigrazione di persone provenienti da nazioni diverse, ognuna con la propria fede e propria identità, e con il bisogno di una comunità. Ciò fa sorgere il problema della legittimazione del loro status religioso da parte dello Stato, con conseguente riconoscimento del loro anno liturgico. Sono esperienze religiose differenti che incidono anche sui rapporti tra le persone nella vita quotidiana. Alcuni loro stili di vita sono diversi da quelli italiani, per cui danno origine ad atteggiamenti contrastanti. Per chi è molto legato alla tradizione, gli immigrati costituiscono una novità difficilmente accettabile. Altri, più aperti al moderno, meno interessati all’aspetto religioso, cercano piuttosto di sfruttare economicamente la loro presenza. Vi sono poi le persone cosmopolite, aperte al sociale e alle novità, che fanno amicizia con loro. C’è quindi una diversità culturale entro la nostra società. Anche da parte degli immigrati, c’è chi dialoga, ma c’è anche chi è rigido. È una questione complessa che coinvolge le nostre emozioni. La paura, per esempio, è un’emozione fondamentale, non negativa, ci mette in guardia rispetto a ciò che è nuovo, ma va educata. Ci aiuta a impostare le relazioni tra gruppi con esperienze e storie differenti che muovono emozioni: non ci sono risposte automatiche.
Sulla spiritualità buddista che anima la nostra polis ha riflettuto il prof. Raveri. Non è una realtà religiosa appariscente, ha sottolineato; si è diffusa da noi dopo la seconda guerra mondiale e oggi rappresenta nelle città una sfida per la sua radicale diversità che va gestita. Il messaggio buddista è, infatti, difficile da applicare all’interno dei nostri schemi religiosi. Ha un concetto di salvezza che non mette al centro Dio. Molti cattolici sono affascinati dal pensiero orientale, ma quelli che creano più inquietudine sono i convertiti al buddismo, un fenomeno che ha colto impreparate le nostre istituzioni religiose. La loro esperienza spirituale è un cammino interiore, individualista, con una visione olistica del rapporto uomo/natura, corpo/anima. La sfida che la loro presenza ci pone è questa: per loro la realtà ultima è l’uomo, non l’essere, né Dio, è il silenzio, il vuoto. Oltre a costoro e alle comunità monastiche, ci sono i simpatizzanti. È un mondo inquieto che cerca un’esperienza religiosa non devozionale, non ritualistica, che respinge l’idea di una verità dogmatica ed è comunque da rispettare. Vanno poi considerati i buddisti etnici immigrati che non parlano con i convertiti; vivono una propria esperienza comunitaria periferica rispetto alla polis, diversamente da molti dei loro figli cui interessa meno l’identità degli avi. C’è infine un mondo giovanile fluido, sfuggente, dipendente da internet, che esprime un’esperienza religiosa legata a una grande solitudine: una comunità virtuale. È una nuova spiritualità che mette il sé al centro. Per noi il passo da fare è cogliere questo mondo non come una diversità da eliminare ma come un arricchimento per la nostra fede.
Su come convivere in una società plurale, multietnica, si è cimentato il teologo prof. Morandini. Ci sono questioni, ha affermato, che emergono in contesti diversi, per esempio nella gestione del corpo e dei simboli religiosi ma anche nella pratica ospedaliera, che si pongono con modalità differenti e che denotano spesso la nostra incapacità di misurarsi con i cambiamenti religiosi e culturali. C’è il rischio, infatti, che le nostre forme di convivenza siano destrutturate. Per questo va cercata una via media tra gli estremi della laicità e dell’integralismo, una via alternativa che permetta di costruire una società articolata in modo accogliente. Non si tratta di una svendita: l’esporsi a una ricca pluralità invita invece a capire la differenza tra l’essenziale e ciò che si può modificare senza drammi. Di fronte all’immigrato, non si può pretendere il suo adeguamento ai nostri valori, ma vanno trovate forme di mediazione creativa, senza farsi dominare dalla paura. Le identità non sono dei monoliti immodificabili, sono fonti di senso articolate, formate da vari elementi che abitano in ognuno di noi e anche nelle comunità nazionali. I teologi cattolici hanno escogitato alcuni modelli interpretativi su come atteggiarsi di fronte alla pluralità religiosa, preferendo ora il modello inclusivista: l’altro è visto come una realtà da accogliere, da riconoscere, una sfida che ci interroga. Quando si riconosce che la sua esperienza religiosa è rilevante, che Dio è laddove si riesce a scorgere il volto dell’altro, che tutti siamo in cammino verso la verità piena, si apre uno spazio di dialogo, un cammino di ricerca comune; solo così le tradizioni religiose possono interagire, senza ignorarsi a vicenda. Ciò richiede una formazione ecumenica al dialogo.
A chiusura dell’incontro che ha dato modo ai presenti di porre diverse domande ai relatori, il moderatore ha evocato il lavoro dello scultore. Come costui nel blocco vede già ciò che c’è dentro e toglie ciò che è in più, così può avvenire per le identità nella polis multiculturale: un’identità monolitica, nell’incontro con le altre culture, può perdere i pezzi in più per far emergere il “capolavoro”.
Tiziana Bertola